domenica 20 settembre 2009

GIOCHI - Demolisci il palazzo

Un frate scomodo

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La storia è quella di una voce dissonante dall’impero monocorde della Chiesa Romana. E’ il ritratto di una figura religiosa che ha agito in libertà su diversi fronti, troppo in bilico per il rigore d’ufficio del Vaticano.
Il protagonista è Frate Benito Fusco e dovrà lasciare l’eremo di Ronzano.
La Curia bolognese sembra non aver digerito la sua adesione pubblica alla difesa della libertà di scelta di Eluana.
Ufficialmente è l’Ordine ad aver preso questa decisione, ma non era certamente nell’ombra il disappunto delle alte sedi ecclesiastiche.
Sarà trasferito forse proprio per quella firma apposta alla legge sul fine vita.
Il voto di obbedienza lo obbliga a seguire le decisioni prese dal priore dell’Ordine cui appartiene, i Servi di Maria, senza troppe discussioni.
Arriveranno dei nuovi a sostituirlo nella programmazione delle attività dell’eremo.
Frate Benito Rusconi ha un passato un po’ troppo disordinato per i gusti del clero. Militante nelle rivolte studentesche degli anni settanta, vicino alle storie più dimenticate della società contemporanea, sensibile alle richieste di legge dei gay, non è certamente il canone del prete da chiesa, soprattutto di questa.
Poco ortodosso, allergico alle logiche del potere, fuori schema per natura, inizia a dar troppo fastidio.
Il frate scomodo se ne va con l’ultimo atto del suo operato: la Festa dei popoli prevista a fine settembre sul grande tema dei diritti umani e l’impegno ecclesiale, sia accademico che sociale, su questo fronte di fuoco.
La giornata terminerà con una tavola rotonda proprio sul “Diritto di scegliere” in cui proprio lui argomenterà perché un cattolico non deve imporre la proprie visione dell’esistenza sugli altri a colpi di legge e, soprattutto, perché non c’è un autentico problema di coscienza sull’ipotesi della legge laica, se non strumentale alle diatribe sofistiche dei militanti di sette e partiti.
La decisione di trasferimento arriva dopo le lettere ai vescovi sui 41 sacerdoti dissidenti.
Alla richieste di maggiori controlli e di severe raccomandazioni, l’ordine, con la curia dietro le quinte, ha risposto con un secco trasferimento.
Un esilio nonostante l’operato eccellente e apprezzato di frate Fusco.
Perché la comunità intorno a lui ha solo parole di encomio.
Il pontificato di Benedetto XVI non ha fatto altro che aggravare lo stato di chiusura e di regressione di dottrina che ha attraversato la Chiesa già a partire dal pontificato di Wojtyla, soltanto meglio equipaggiato da un‘attitudine mediatica di maggiore impatto e da un’identità geografica legata alla martire Polonia e non alla Germania nazista. La china per il resto è la stessa ed è molto ben documentata.
Religiosi come Frate Fusco fanno bene alle Chiese tutte e alla società civile.
Fanno bene ai cittadini che non hanno alcuna inclinazione di fede.
Fanno bene al significato profondo della mediazione culturale tanto raccontata nell’oratoria delle omelie domenicali e, soprattutto, fanno bene a quella prova di fattibilità e di riuscita concreta di cui il multiculturalismo sembra sempre essere un po’ povero.
E’ stata la storia ad entrare nelle chiese e a spazzare via privilegi e assiomi di dottrina. Lo hanno fatto spesso proprio uomini di dio. L’ha fatto un domenicano ricco di genio come Giordano Bruno, l’ha fatto un monaco votato a S. Anna come Martin Lutero. Ogni accostamento è audace, ma la storia di un frate che non ha smarrito il senso di cosa sia uno stato laico e non confessionale.
La coscienza è una cosa seria.

domenica 13 settembre 2009

La caduta di Berlusconi

GIOCHI - Ispettore Zigmond

Dedicato a Silvio

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Mi dà una felicità malinconica il pensiero di vivere nel mezzo di questo groviglio di vicoletti, di bisogni, di voci: quanti piaceri, impazienza, bramosie, quanta vita assetata ed ebbra di vita vi vengono alla luce in ogni istante! E tuttavia presto scenderà tanto silenzio su tutti questi esseri chiassosi, vivi, assetati di vita! Dietro ad ognuno c'è la sua ombra, il suo cupo compagno di strada! è sempre come all'ultimo momento prima della partenza di una nave di emigranti: ci sono più cose da dirsi che mai, l'ora incalza, dietro tutto quel chiasso attendono impazienti l'oceano e il suo desolato silenzio - così avidi, così sicuri del loro bottino. E tutti, tutti sono convinti che finora non ci sia stato niente o poco e che il futuro sia tutto: donde questa fretta, queste grida, questo assordarsi e circonvenirsi! Ciascuno vuole essere il primo in questo futuro, e tuttavia l'unica cosa sicura e comune a tutti di questo futuro sono la morte e il silenzio di morte! Strano che questa unica sicurezza, questo unico elemento comune non possa pressoché niente sulla folla, e che sia lontanissima dal ritenersi la confraternita della morte! Mi rende felice vedere che gli uomini non vogliono assolutamente pensare il pensiero della morte! Mi piacerebbe fare qualcosa per rendere loro il pensiero della vita cento volte più degno di essere pensato.

Friedrich Wilhelm Nietzsche

11500 giorni in attesa della morte.

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George Bush frequentava ancora l’università di Yale quando Ronald Curtis Chambers, muratore afro americano, entrò nel braccio della morte del Texas.
Era appena diventato padre di una bambina ma l’infanzia passata nel ghetto di Dallas, dove prosperavano armi e droga e dove ci si può sentire molto più soli che altrove, avevano già segnato la sua esistenza.
Dopo una rapina finita con la morte di un uomo, Chambers ed il suo complice, Clarence Williams, erano stati arrestati e accusati di reato capitale.
Per salvarsi la vita, Williams gettò tutta la responsabilità su Chambers ed ottenne una pena mite mentre Chambers venne condannato a morte.
In Texas, le giurie non hanno mai speciali riguardi nei confronti dei neri e dopo 45 minuti di dibattito arrivò la sentenza irrevocabile.
Da 11.500 giorni all’incirca, Ronald Curtis Chambers vive in un mondo obsoleto, fatto dei pochi metri soffocanti di una cella, di secondini razzisti e di tanti altri mali che la maggior parte della gente non conoscerà fortunatamente mai.
Per 11.500 volte ha indossato gli stessi abiti, mangiato lo stesso cibo insapore, dormito nel letto-bunker riservato ai condannati a morte.
Ma la vendetta nei suoi confronti non si è ancora esaurita e il 25 gennaio prossimo Chambers verrà giustiziato nel famigerato edificio noto come “The Walls”, che si trova ad Huntsville, dove l’economia si basa interamente sulla pena capitale.
I nomi di coloro che gli inietteranno il veleno una volta che sarà legato saldamente ad un lettino non sono stati resi noti l’amministrazione penitenziaria non ha nessun interesse a farli conoscere.
L’ordinamento del braccio della morte del Texas, l’ingiustizia legalizzata, la mancanza di principi morali che dovrebbero ispirare la legge sono più che sufficienti a cambiare l’indole dei detenuti.
Tuttavia, Ronald Chambers non ha abbracciato alcuna forma di perversione e non si è mai abbandonato alla violenza per tutti e 31 i lunghi anni sella sua detenzione. Tutti gli riconoscono una certa integrità e la stessa amministrazione ha ammesso che si è sempre distinto per la buona condotta.
Si è adattato alla sua condizione forse nella speranza di essere un giorno riammesso nella società libera.
Nel 1987, la condanna a morte era stata abrogata ma sette anni più tardi i giudici d’appello avevano avuto un ripensamento e Chambers era tornato nel braccio della morte.
E’ piuttosto sorprendente che, mentre tutto si evolve, lo stato del Texas continui ad amministrare una giustizia ferma all’epoca dei pionieri.
Dal giorno in cui Chambers è stato chiuso in una cella l’assetto geo-politico del mondo è cambiato, sono nate le reti telematiche, la guerra ha travolto interi paesi ma il desiderio di vendetta nei suoi confronti non si è attenuato.
Persino agli occhi disincantati di un cronista, tanta inerzia e tanta stolidità risultano incomprensibili.
Non basta che un uomo abbia tenuto una condotta esemplare per oltre 30 anni affinché si consideri saldato il suo conto con la giustizia, ci vuole la sua morte.
Persino i famigliari della vittima hanno affermato che l’esecuzione non servirà a risarcirli della loro perdita, ma lo stato pretende di scavalcare anche il loro parere pur di affermare il suo desiderio di vendetta.
Oggi Ronald Chambers è un uomo di 51 anni, che ha visto precederlo nel cammino dell’ultimo miglio 380 uomini, ad alcuni dei quali era molto legato.
Fra pochi giorni, lui stesso si avvierà lungo quel difficile percorso dal quale non c’è ritorno. Gli agenti non avranno bisogno di stanarlo dalla cella né di trascinarlo fuori di peso come è accaduto con tanti altri. In un’intervista ha detto: “Ho avuto tanta pazienza in questi anni o ce l’avrei fatta”. Forse avrà inteso dire che anche nel momento più duro avrà pazienza. Recentemente ha ricevuto la visita della figlia, ormai ultra trentenne, anche lei vittimizzata dalla vicenda del padre nonostante avesse solo pochi giorni quando Chambers venne condannato a morte. Il suo non è un caso unico: perché è scontato che se la legge non protegge la vita dei detenuti significa che non è in grado di proteggere neppure chi è fuori.
Nei 31 anni trascorsi nel braccio della morte, più di qualsiasi altro condannato, Chambers ha resistito ai tentativi di brutalizzazione fatti dalle guardie per infrangere il suo spirito e la sua forza di volontà.
Ha fatto da testimone a tante e tali atrocità che ci vorrebbero secoli per descriverle. Ora il sistema giudiziario razzista in vigore in Texas si appresta ad ucciderlo pur sapendo che non sarà la sua esecuzione ad arginare i mali del paese. Servirà solo a dimostrare che nelle disgraziatissime colonie d’America l’oppressione furoreggia trionfante.

giovedì 3 settembre 2009

Il tempo




Poiché il tempo non è una persona che potremo raggiungere sulla strada quando se ne sarà andata, onoriamolo con letizia e allegrezza di spirito quando ci passa accanto.

martedì 1 settembre 2009

La mia città




Avevo otto anni e correvo con un decino in mano
Verso la fermata del bus
Per comprare un giornale a mio padre
Sedevo sulle sue gambe in quella grossa vecchia Buick e
sterzavo mentre guidavamo per la città
Mi arruffava i capelli e diceva figliolo dai un
bello sguardo intorno questa è la tua città
Questa è la tua città..

Nel '65 la tensione saliva alle stelle, al mio liceo
C'erano un sacco di scontri tra bianchi e neri
Non c'era niente da fare
Due macchine al semaforo di sabato notte, nel sedile posteriore c'era una pistola
Si sparse la voce, veloce come una pallottola
I tempi difficili erano giunti, nella mia città
La mia città....

Ad esso in Main Street ci sono solo vetrine bianche
E negozi senza proprietario
Sembra che non ci sia più nessuno
Che voglia più venire a stare qui
Stanno chiudendo lo stabilimento tessile
oltre la ferrovia
Il capo reparto dice questo lavoro se n'è andato ragazzi
e non ritornerà più nella vostra città
Nella vostra città...

L'altra notte io e Kate a letto parlavamo
di andarcene via
Di fare le valigie e andarcene forse verso sud
Ho 35 anni, abbiamo un figlio nostro adesso
La notte scorsa l'ho fatto sedere dietro il volante
e gli ho detto figliolo dai un bello sguardo intorno
questa è la tua città