giovedì 7 novembre 2013

Solitudine

Photobucket

Meglio soli che mal accompagnati.
In questo detto popolare è racchiusa una verità:
talvolta, rispetto a compagnie non piacevoli, è preferibile la condizione di solitudine.
Vi sono però persone che fanno rientrare nella categoria di “mala compagnia” pressocchè la totalità delle possibili relazioni e si tengono pertanto a distanza dagli altri, trovando in ogni conoscenza motivi di
perplessità.
In realtà queste persone possono lamentarsi e soffrire per la loro condizione di isolamento, una condizione che inconsapevolmente essi stessi creano con atteggiamenti di superiorità, di critica o di diffidenza, che finiscono per allontanare chi a loro si avvicina.
L’altro viene percepito come una minaccia, come un potenziale nemico.
Non si sono instaurati, per vari motivi, rapporti di fiducia, per cui le
relazioni risentono e ripresentano carenze della loro vita infantile.
Purtroppo essi stessi, per una difficoltà a fidarsi e affidarsi, si costruiscono la condizione di solitudine nella quale si trovano ingabbiati.
Ognuno di noi può attraversare periodi in cui avverte un senso di solitudine: al rompersi di una relazione affettiva, per un trasferimento prolungato lontano dal proprio ambiente; quando queste modificazioni non avvengono per libera scelta si apre una ferita si tende a interrogarsi sulla propria persona, sulle proprie qualità individuali e relazionali.
A volte emergono dubbi che conducono a un senso di insicurezza.
Il sentirsi soli procura disagio, alimenta dubbi.
Può essere una situazione transitoria da cui si esce rafforzati, accettando gli insuccessi come parte della vita, coltivando interessi, aprendosi a
nuove conoscenze.
L’esperienza della solitudine rivela anche un aspetto di possibilità, di
rielaborazione personale nel contatto, seppur un po’ forzato, con noi stessi, con la nostra vulnerabilità.
Conosciamo individui che sono inclini alla solitudine, che privilegiano e ricercano tale condizione nella loro vita: rifiutano gli inviti, trascorrono il tempo libero da soli.
In effetti lo stesso termine che si usa per definire questa loro caratteristica, “solitari”, indica questa loro scelta preferenziale.
Sono persone che manifestano scarso interesse per le relazioni umane.
I motivi sono vari e complessi.
Essi sviluppano la dimensione interiore, personale, alcune volte con il rischio
di una scarsa aderenza alla realtà , a causa di un contatto insufficiente con il mondo esterno.
Ma la solitudine può essere scelta anche solo temporaneamente,
periodicamente, come opportunità e condizione essenziale per attingere a quelle potenzialità creative che troviamo dentro noi stessi.
Le opere d’arte nascono dal silenzio, dalla riflessione e dalla contemplazione, da un pensiero che sa staccarsi dalla corrente della massa per aprire nuove vie, rivolgersi a nuovi orizzonti.
Così anche a certe scoperte scientifiche si è pervenuti osando spingersi oltre il confine del condiviso, assodato, certo.
E' nella solitudine che noi entriamo in noi stessi, incontriamo il nostro
io profondo che ci rivela chi siamo, cosa veramente vogliamo e desideriamo al di là anche dei bisogni spesso falsi che ci sono indotti dalla nostra società, con messaggi pubblicitari e modelli di comportamento.
Rientrare in noi stessi è scoprire la nostra originalità e individualità, ciò che ci caratterizza e anche ciò che ci differenzia dagli altri.
Possiamo quindi intendere la solitudine anche come una capacità: la capacità di stare soli.
Per comprendere come si forma questa qualità basta fare riferimento all’infanzia, alle relazioni più significative di quel periodo.
Il bambino quando acquista la fiducia di essere amato, di non venire abbandonato dai genitori, può tranquillamente esplorare il mondo circostante e ritagliarsi spazi in cui stare da solo.
Sono momenti in cui il bambino osserva (elemento essenziale per la conoscenza dell’esterno), gioca da solo, parla tra sé e sé.
Alcuni genitori stimolano continuamente i propri figli per fare apprendere loro sempre nuove conoscenze e abilità.
Tale atteggiamento riflette, tra l’altro, la nostra mentalità occidentale intrisa di
efficientismo e di attivismo.
Ben diversa è la cultura orientale che valorizza la meditazione, la
riflessione, la calma.
Tornando al bambino, va tenuto presente che quando sembra inattivo in realtà
è all’opera, interiorizzando ed elaborando le sue conoscenze e sviluppando le sue capacità creative.
E’ importante quindi non privare il bambino di questi momenti estremamente utili alla sua crescita e allo sviluppo personale.
Ciò che vale per il bambino vale anche per noi adulti: solo nel silenzio possiamo metterci in ascolto del nostro io più autentico e profondo e riflettere in modo personale e libero su noi stessi, gli altri e ciò che ci circonda.
La solitudine è anche lo spazio più adatto per alcune attività: leggere, scrivere, dipingere, creare, comporre.
Mentre state leggendo questo articolo vi troverete soli o comunque avrete
momentaneamente sospeso la comunicazione con chi vi circonda, così come io ho maturato e sto scrivendo questo articolo in una condizione di solitudine.
Vorrei ora considerare la solitudine come dimensione umana esistenziale. Dalla nostra nascita, da quando è stato tagliato il cordone ombelicale che ci univa a nostra madre noi ci troviamo di fatto separati, distinti dagli altri esseri umani.
Sta di fatto, comunque, che la nostra condizione esistenziale è quella di individui separati dagli altri e quindi, per certi versi, inevitabilmente soli.
Ci sono scelte e responsabilità che rimangono personali, nelle quali nessuna altra persona si può sostituire completamente al singolo.
La vita ci offre numerose opportunità di incontri, di amicizie e di legami profondi che ci consentono talora di sperimentare sintonia, affinità, complicità.
Ci sono momenti “magici” nell’amore e nell’amicizia, rapporti fedeli e duraturi, autentici, che sanno anche resistere al tempo e alla distanza.
“Grazie perché esisti”, “Grazie per come sei” sono tra i ringraziamenti più belli che possiamo ricevere ed esprimere a qualcuno e rivelano come l’altro sia fonte di gioia e motivo di gratitudine.
Ciascuno di noi avrà già sperimentato come la vicinanza e l’affetto di una persona cara siano un vero balsamo di vita.
Eppure, per tanto che possiamo trovarci bene con l’altra persona, rimane tra noi e l’altro uno scarto, una minima distanza che è la nostra differenza e che scaturisce da quella sete di amore infinito e totale che abita nel nostro
cuore e che nessun essere umano, in quanto limitato, può colmare.

La solitudine, vissuta ad un livello maturo, soprattutto se scelta e non subita, è una dimensione utile e necessaria alla nostra vita.
Una buona maturità psicologica comprende la capacità di instaurare relazioni positive e significative con gli altri e la capacità di stare anche da soli.
Finchè abbiamo bisogno di una “stampella” per stare in piedi non abbiamo
ancora raggiunto una piena maturità.
E’ importante che ciascuno, pur se assorbito da una vita attiva e frenetica, sappia ritagliarsi spazi di silenzio e di solitudine.
Credo che per tutti noi possa essere un buon traguardo riuscire a trovare un equilibrio tra la relazione con gli altri e quella con noi stessi.
Non sono due relazioni contrapposte; al contrario,
ognuna alimenta e arricchisce l’altra.