lunedì 18 marzo 2013

L'Amore può morire




Come son pesanti i giorni,
A nessun fuoco posso riscaldarmi,
non mi ride ormai nessun sole,
tutto è vuoto,
tutto è freddo e senza pietà,
ed anche le care limpide stelle
mi guardano senza conforto,
da quando ho appreso nel mio cuore,
che anche l'amore può morire.

sabato 16 marzo 2013

L'abito




Il vostro abito nasconde una gran parte della vostra bellezza, tuttavia non maschera ciò che non è bello.
E benché cerchiate nell'abito un'intima libertà, potreste trovare in esso le vostre catene.
Vorrei che la vostra pelle, e non il vostro abito, fosse sfiorata dal sole e dal vento.
Poiché il soffio della vita è nella luce del sole e la mano della vita è nel vento.

Alcuni di voi dicono: "E' il vento del Nord che ha tessuto l'abito che indosso".
E io dico che, si, è stato il Vento del Nord,
Ma la vergogna è stata il suo telaio e la mollezza la sua trama.
E a fatica compiuta, il vento ha riso nella foresta.
Non dimenticate che la modestia vi è stata data a scudo contro gli occhi dell'impuro.
Ma quando l'impuro sparirà, che cosa sarà la modestia se non poltiglia che intorbida la mente ?
E non dimenticate che la terra ama sentire i vostri piedi nudi e il vento giocare con i vostri capelli.

giovedì 7 marzo 2013

François De La Rochefoucauld

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Ebbe un'educazione piuttosto superficiale, com'era costume in quel tempo per i giovani destinati alla carriera delle armi.
Venne sposato, non ancora quindicenne, ad Andrée de Vivonne, la quale gli dette otto figli, e assai presto fece il suo ingresso a corte, immischiandosi nei numerosi intrighi architettati contro il cardinale Richelieu, in seguito ai quali fu rinchiuso per breve tempo nella Bastiglia ed esiliato per due anni nella sua terra di Verteuil.

Ritornato a corte nel 1642, fu ostile a Mazarino come lo era stato a Richelieu e si impegnò attivamente sia nella Fronda parlamentare sia nella Fronda dei principi, nel corso della quale ebbe anche la carica di luogotenente generale dell'esercito ribelle.
Nel combattimento della porta Saint-Antoine fu gravemente ferito.
L'anno seguente tuttavia si riavvicinò al re, abbandonando all'improvviso ogni ambizione politica e convertendosi alla vita di corte.
Nel 1662 pubblicò la sua prima opera, le Memorie narranti i maneggi per il potere alla morte di Luigi XIII, ma la sua fama letteraria ebbe inizio col 1664, l'anno in cui fece stampare all'Aia le sue Riflessioni, o Sentenze e Massime morali.

Scriveva con pessimismo sulla natura umana, un pessimismo senza veli sulle passioni, le ambizioni, la prontezza al tradimento di cui uomini e donne sono capaci.
Le Massime riescono a mettere a nudo aspetti poco rispettabili della natura umana e rappresentano una significativa stazione nella realizzazione del programma fissato da Socrate con l'imperativo "Conosci te stesso".
"L'amor proprio è il più grande di tutti gli adulatori".
E poi: "Per quante scoperte siano fatte nel paese dell'amor proprio, vi restano ancora molte terre sconosciute".
"l'amor proprio è più abile del più abile degli uomini del mondo".
E per quanto ci si ingegni a nascondere le nostre passioni sotto parvenze di pietà e di onore, "esse appaiono sempre attraverso questi veli".
Così "abbiamo tutti abbastanza forza per sopportare i mali altrui"; e "l'orgoglio più della bontà è coinvolto nelle nostre proteste contro quelli che commettono errori; non li riprendiamo tanto per correggerli quanto per convincerli che noi ne siamo esenti".

Senza pietà il coltello viene affondato sulle nostre miserie: "Siamo così assuefatti a mascherarci agli altri, che finiamo per mascherarci a noi stessi".
Falsi con noi e con gli altri, siamo tanto vanesi che "preferiamo dir male di noi stessi piuttosto che di noi non si parli affatto"; e se è vero che "normalmente non si loda che per essere lodati", è anche un fatto difficilmente smentibile che "poche persone sono abbastanza sagge da preferire la critica che è loro utile alla lode che le tradisce".
La realtà è che la lusinga è "una moneta falsa" cui la nostra vanità apre tutte le porte.

Le Massime appaiono in un periodo in cui le forme brevi erano alla moda presso quel pubblico mondano che era divenuto il vero giudice del successo di un'opera.
Pensieri brevi ed incisivi, veri precipitati di esperienza e di saggezza erano già stati precedentemente offerti da Michel de Montaigne, anche Pierre Nicole scriverà "sentenze" nei suoi Essais de Morale; e "sentenze" scriverà la marchesa de Sablé.
Per quanto riguarda la falsità, a Rochefoucauld si attribuisce la convinzione che gli uomini non vivrebbero a lungo in società se non si ingannassero reciprocamente. "La falsità ― lui dice ― è universale perché le nostre qualità sono incerte e confuse, e così pure le nostre opinioni: non vediamo le cose come effettivamente sono, le stimiamo più o meno di quanto valgono e non ci disponiamo in rapporto ad esse nel modo più opportuno".

Come Pascal, La Rochefoucauld ritiene l'onestà una qualità interna all'uomo, ma che proprio per questo pone un dilemma: come si fa a distinguere la vera onestà dalla falsa rappresentazione di essa?
La differenza tra le vere e le false persone oneste è difficilmente percepibile dalla maggioranza della gente, specialmente se non si ha la possibilità di prestare attenzione al minimo indizio di insincerità.
Spietato nella denuncia dell'ipocrisia, La Rochefoucauld irride la falsità delle apparenze virtuose ("la cortesia è il desiderio di essere ricambiati e di essere considerati gentili"), dimostrando come ogni azione sia frutto di un egoismo originario, dell'interesse personale e della totale mancanza di autocritica ("niente è più raro della vera bontà: quelli che credono di averla hanno in genere soltanto compiacenza o debolezza").

L'egoismo, uno dei temi principali della sua riflessione, fa parte strutturale della natura umana e, proprio per questo, ne può derivare una particolare forma di saggezza che conduca a una morale "senza trascendenza", una morale sociale, che finisca col diventare arte di vivere .
"Non possiamo amare niente che non sia in rapporto a noi stessi, e quando preferiamo i nostri amici a noi stessi non facciamo che seguire i nostri gusti e il nostro piacere.
Eppure, solo grazie a questa preferenza può esserci un'amicizia vera e perfetta".
È il metodo, quello che è stato definito "l'ermeneutica delle virtù", a conferire la coerenza di un sistema ai pensieri: riducendo le virtù nobili a motivi "ignobili", La Rochefoucault crea un'etica della verità denudata che colpisce in profondità come una spada.

Le massime nascono da un profondo senso di disillusione e sconfitta dell'autore e, per l'esigenza intellettuale di non offrire l'aspetto emotivo della propria riflessione, il punto d'osservazione vuole essere staccato; ma quello di La Rochefoucault è un distacco solo apparente, che fa trasparire l'intensità delle emozioni (perfettamente controllate) e l'amarezza dell'esperienza di vita.
La verità che ogni lettore può riconoscere in queste riflessioni è, necessariamente, solo parziale: il punto d'osservazione fissa l'aspetto negativo del cuore umano, il male che alligna in ogni vivente, ben mimetizzato sotto il velo della virtù ("la modestia, che sembra rifiutare le lodi, in realtà desidera soltanto riceverne di più raffinate").

Quanto siano feroci e spietati i giudizi che questo pensatore trancia lo si deduce da quanto sappiano colpire ancora oggi e forse questo avviene perché "Se si fa tanto discutere contro le massime che mettono a nudo il cuore umano è perché ciascuno teme di esservi messo a nudo".
Si può essere falsi in vari modi. Ci sono uomini falsi che vogliono sembrare sempre ciò che non sono.
Ce ne sono altri, più in buona fede, che sono nati falsi, sono i primi ad ingannarsi e non vedono mai le cose come sono.
Alcuni poi non hanno nulla di falso né nella mente, né nel gusto, ma sono rarissimi, perché, in generale, non c'è quasi nessuno che non abbia un po' di falsità in qualche aspetto dell'intelligenza o del gusto.

La falsità è così universale perché le nostre qualità sono incerte e confuse, e così pure le nostre opinioni: non vediamo le cose come effettivamente sono, le stimiamo più o meno di quanto valgono e non ci disponiamo in rapporto ad esse nel modo più opportuno né per loro né per la nostra condizione.
Questo errore insinua un'infinità di falsità nella mente: il nostro egoismo si lascia lusingare da tutto ciò che ci si presenta sotto le parvenze del bene; ma, essendoci molti tipi di beni che colpiscono la nostra vanità o il nostro carattere, li seguiamo per abitudine o per comodità, li seguiamo perché li seguono gli altri, senza considerare che una stessa opinione non deve essere ugualmente abbracciata da ogni genere di persone e che bisogna seguirla più o meno assiduamente a seconda che sia più o meno conveniente per chi la segue.

Si teme di mostrarsi falsi nel gusto ancor più che nell'intelligenza.
Le persone dabbene devono approvare senza prevenzioni ciò che merita approvazione, seguire ciò che merita di essere seguito e non piccarsi di nulla.
Ma ci vuole una straordinaria misura: bisogna saper distinguere ciò che è bene in generale e ciò che ci è utile, e seguire con raziocinio la naturale inclinazione che ci conduce verso le cose che ci piacciono.
Se gli uomini volessero eccellere soltanto per le proprie doti e attenendosi ai loro doveri, non ci sarebbe nulla di falso nel loro gusto e nella loro condotta; si mostrerebbero come sono, giudicherebbero le cose col loro discernimento e le sceglierebbero a ragion veduta; ci sarebbe una stretta connessione tra le loro opinioni e le loro idee; il loro gusto sarebbe vero, autonomo e non attinto dagli altri e vi si atterrebbero per libera scelta e non per abitudine o caso.