domenica 28 giugno 2009
Inprigionare INTERNET
Ci sono ragioni politiche per le quali la Rete preoccupa i potenti.
L’anarchia creativa, l’assenza di un centro di controllo, possibilità pressoché illimitate di comunicare, interagire, condividere, incontrarsi, divertirsi, anche fuori dai canali ufficiali.
Per tentare di mettere le mani su questa cosa fin troppo libera che si chiama Internet senza scatenare una rivoluzione, è necessario far leva su argomenti un po’ diversi: il pericolo e la ineguatezza.
Attenti, la Rete è pericolosa e la Rete è congestionata, anche per colpa vostra con tutti quei video che caricate e guardate senza nemmeno pagare royalty!.
Ovviamente, il primo argomento è il migliore amico di chi vuole ficcare il naso nella vita di tutti gli internauti, mentre il secondo giustifica i patti scellerati che alcune società internet stanno cercando di stringere con i fornitori di banda, realizzando le condizioni tecnologiche per una discriminazione dell’accesso sulla base dei contenuti.
Di questo passo qualcuno potrà decidere che cosa può essere messo in Rete e che cosa no, un po’ come accade in Cina.
Per questo si fa un gran parlare della cosiddetta Nuova Internet, sulla quale, tra gli altri, si stanno esercitando gli ingegneri del Clean Slate, un gruppo costituito qualche anno fa presso l’Università di Stanford con l’obiettivo dichiarato di reinventare Internet.
Consentire l’utilizzo e la messa a disposizione in rete di nuovi applicativi e servizi, migliorare l’accesso alla rete da parte dei dispositivi mobili e, soprattutto, aumentare la sicurezza, attraverso nuovi hardware e software specifici codificati direttamente nelle macchine che ne costituiscono il sistema nervoso.
L’impressione è che Clean Slate non abbia finora prodotto importanti innovazioni.
Un dato è però chiaro: si va verso la creazione di una comunità chiusa da un recinto, in cui gli utenti siglano un patto che prevede la rinuncia all’anonimato in cambio di sicurezza.
Un progetto tanto deplorevole quanto difficile da realizzare.
Pare che qualche cervellone abbia proposto perfino di dotare gli internauti di una specie di patentino di navigazione: peccato che provare la propria identità in modo certo continuerà ad essere notevolmente difficile in un contesto in cui con un software maligno operato dall’altro capo del mondo è facile, perfino banale, assumere il controllo della macchina di qualcuno per farla funzionare esattamente come se fosse la propria.
Altro tema assai dibattuto è la Net Neutrality, cioè il principio secondo cui dovrebbero essere gli utenti a controllare i contenuti che vedono e le applicazioni che usano su Internet; così come le società telefoniche non possono decidere chi gli utenti possono chiamare e quello che devono dire nelle loro telefonate, allo stesso modo ai carrier di banda non dovrebbe essere consentito di usare il proprio potere per controllare le attività online.
Vi sono pratiche accettabili e altre da condannare: tra le prime, dare priorità ad alcune applicazioni appartenenti genericamente ad una data categoria (ad esempio gli streaming video), bloccare determinate forme di traffico su indirizzi IP per proteggere gli utenti da attacchi, virus e “worm”; fare local caching (cioè collocare su server connessi ad alta velocità a network regionali copie dei file più richiesti, in modo da consentire agli utenti di connettersi ad essi in modo più veloce, evitando nel contempo congestioni in aree lontane da quella in cui il file viene richiesto); fornire contenuti proprietari (ad esempio televisione su IP); fatturare ai consumatori una tariffa supplementare per avere maggior velocità di connessione.
Questa lista di autoassoluzioni fa storcere la bocca ai puristi, convinti che ogni misura che permetta di navigare con lo sprint dopo aver sganciato qualche euro in più collida con i principi libertari impressi nel DNA della Rete e fatti propri da quasi tutti i suoi utenti.
Un altro esempio di quanto la purezza del network neutrale sia lontana dalla realtà è dato dall’impiego della cosiddetta tecnica di “Deep Racket Inspection” (o DPI) da parte degli Internet Service Provider.
A differenza di quanto accade con Stateful Packet Inspection, che analizza solo l’header (il titolo) dei pacchetti internet, DPI effettua un’analisi dettagliata di ciò che si trova all’interno del pacchetto stesso.
Questo consente di perseguire finalità legittime (ad esempio dare priorità ai pacchetti che portano la voce in applicazioni Voice Over IP, protezione da worm, attacchi e virus) come pure altre assai meno commendevoli: ad esempio, rallentare il traffico proveniente da o diretto verso operatori concorrenti, oppure mettere a disposizione di altri soggetti la “storia” della navigazione dei propri clienti, al fine di consentire a chi acquista i dati di fornire offerte commerciali tagliate”su misura del potenziale cliente.
Con tanti saluti delle regole di mercato e di quelle della privacy.
In conclusione, il dibattito sulla neutralità della Rete,nasconde una più prosaica battaglia tra fornitori di contenuti e fornitori di banda per accaparrarsi il denaro degli utenti finali del servizio.
Tanto più che, fino a quando non sarà trovata una definizione di neutralità che metta d’accordo tutti gli attori (utenti, ISP e fornitori di contenuti), sarà molto difficile che la politica legiferi in materia in modo coerente.
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