lunedì 4 gennaio 2010
Analfabeti o quasi
Internet, videofonini, digitale terreste e satellitare: viviamo ormai nella società della comunicazione totalizzante.
Nessuno può dire più di non essere informato o di non poter partecipare anch’egli al mondo della divulgazione attraverso Youtube o altri pirotecnici mezzi mediatici. Ovviamente ciò è valido solo nella parte dove la tecnologia esiste ed è fruibile come bene prevalentemente superfluo, avendo già risolto problemi come la fame, la sete, l’igiene e la difesa dagli agenti atmosferici.
Premesso questo, pare quasi scontato che nel nostro Paese, vista la grande diffusione d’innumerevoli metodi di divulgazione, dalle apparecchiature elettroniche più sofisticate alle ormai primitive carta e penna, ciascun individuo possa parlare, ascoltare, leggere e comprendere notizie e dati resi dagli altri.
Se crediamo questo, incappiamo in un grave errore, perché se facciamo i conti con le competenze base degli italiani, si scopre che una parte considerevole degli abitanti della Penisola è completamente analfabeta, il 6%.
Circa il 20% saprà anche scrivere o leggere, ma ciò non è sufficiente affinché esso possa comprendere un testo o sappia riprodurre per iscritto il suo pensiero.
Questo elemento non dovrebbe apparire sorprendente se circa il 36% possiede solo un titolo di licenza elementare o neppure quello, e se il tasso dei laureati non arriva al 11%.
Le colpe e le origini di questo dramma culturale e umano sono molteplici e ricche di significato antropologico: dall’uso distorto delle forme lessicali negli sms o nelle rapide risposte delle chat, fino all’eccessivo impiego di formule derivanti dall’inglese o da qualsiasi altra variante linguistica.
Ecco quindi come, non solo l’italiano cambia pelle, ma gli italiani in generale perdono l’uso della propria lingua sia nel lessico, sia nelle costruzioni verbali.
Di fronte quindi all’ardore orgoglioso dei dialetti come forma di cultura locale, l’idioma nazionale è vittima di un analfabetismo funzionale dalle proporzioni impressionanti.
Tutto questo apparato si va a sommare alla già consistente presenza sul suolo nazionale di numerose comunità straniere, che coltivano i propri idiomi, ma si trovano nella quotidianità ad approcciarsi con un mondo linguistico senza regole e dove l’incomunicabilità divampa oltre qualsiasi confine.
In queste condizioni sembrerebbe quindi ipocrita e inutile richiedere un esame di lingua, storia e cultura nazionale agli stranieri, per ottenere la cittadinanza, quando la stragrande maggioranza degli italiani sono privi di una solida base d’identità comune in fatto di comunicazione.
Per chi ha i capelli grigi, forse tornano alla mente le lezioni del maestro Alberto Manzi e del suo “Non è mai troppo tardi” che, in una televisione in bianco e nero, insegnava ad adulti senza preparazione scolastica, i rudimenti di educazione sociale attraverso la lingua.
In un Paese, come l’Italia, che è regredito culturalmente sotto ogni punto di vista, tale esperimento tornerebbe d’attualità, in barba a tutta quella serie di pantomime pseudo culturali, più vicine a un ciarpame mediatico, che a vera diffusione del sapere.